Tutti con il naso all’insù, aspettando la luna nuova. Non è l’immagine di una serata romantica tra innamorati; riguarda invece le aspettative rispetto al misterioso, gustoso, affascinante mondo dei tartufi. Eh si, perché a fine ottobre, con la luna nuova, si auspica inizi una nuova stagione di scoperte per i “cavatori”, fino a oggi penalizzati dalla stagione secca che ha caratterizzato l’ultima estate. Tanto per dare un numero, stiamo parlando di 700 litri di acqua in meno per metro quadrato.
Il dato è uscito in occasione dell’”Anteprima mondiale Tartufo Bianco 2021” organizzata a Roma, da Cia-Agricoltori Italiani presso l’Auditorium Giuseppe Avolio, per iniziativa dell’Accademia del Tartufo nel Mondo.
Il settore dei tartufi è particolare: eccellenza (soprattutto italiana) nel mondo, cibo considerato d’elite ma paradossalmente quasi completamente snobbato dalla politica.
Il lite-motiv dell’incontro, alla ricerca di una ripresa del settore e di nuovi mercati (con la preziosa alleanza del settore della ristorazione mondiale) è stato proprio quello di mettere al centro della discussione – per superarle – le criticità esistenti.
Ma se contro la siccità si può fare ben poco (“Erano anni che non ricordavamo una stagione così povera di prodotto – ha spiegato Olga Urbani, titolare della Urbani Tartufi, azienda storica del settore -. La mancanza di giuste piogge durante tutta l’estate sta causando un vero e proprio scompiglio economico per il nostro settore; non solo i prezzi stanno arrivando alle stelle, ma l’offerta è pari a zero, non solo in Italia ma anche nelle terre limitrofe”) sul fronte delle politiche di sviluppo del settore la politica potrebbe e dovrebbe fare di più.
Lo ha detto a chiare note, seppur col garbo di sempre, Giuseppe Cristini, direttore di Accademia del Tartufo nel Mondo: “Se vogliamo davvero rilanciare il prodotto italiano nel mondo – ha detto mettendo il dito nella piaga -, serve una governance incisiva e competente, un progetto di valorizzazione del tartufo italiano nel mondo, da Expo Dubai agli Usa, fino ad arrivare in Asia. In sostanza, occorrerebbe la creazione di un Distretto italiano del tartufo, che coordini non solo le attività di marketing, ma che sia in grado di creare un modello incisivo per la valorizzazione il tartufo italiano come il migliore per qualità, identità e tradizioni”. In sostanza il tartufo italiano come “brand”, che associ il nostro Paese al concetto stesso di produzione di qualità, puntando addirittura alla sinonimia.
Intendiamoci, il tartufo italiano è già conosciuto e apprezzato nel mondo, ha il suo mercato “ la domanda è altissima – ha spiegato Olga Urbani -, i mercati cercano il Bianco e, incredibilmente, più degli anni passati, forse anche per un desiderio di rinascita post Covid. Oggi dover rispondere di non averne è davvero difficile”.
Ma il punto non è crogiolarsi sui risultati raggiunti nel tempo, bensì riuscire a immaginare quali prospettive di sviluppo ancora esistano, quali mercati sia possibile tingere di tricolore. Chi cerca o coltiva tartufi lo sa bene: non ci si accontenta del primo “fungo ipogeo” (guai a chiamarlo tubero, come in troppi articoli di stampa viene definito…), ma si è alla costante ricerca della pepita più grande e profumata. Così nel mercato internazionale, possiamo e dobbiamo ambire a nuovi traguardi.
“Nel tartufo c’è molto di più di una sola storia da raccontare e promuovere – ha sottolineato il presidente nazionale di Cia-Agricoltori Italiani, Dino Scanavino -. Al mondo della ristorazione internazionale affidiamo, infatti, con le pepite, il legame tra tartuficoltura e attività agricola, la grande biodiversità dell’agroalimentare tricolore e, soprattutto, la rinascita delle aree interne, quei borghi che sempre di più stanno richiamando l’attenzione di investitori e turisti stranieri”.
Insomma, il tartufo non solo come prodotto d’eccellenza, ma anche come custode dei nostri territori, sia in termini storico-sociali che in termini ambientali.
Quest’ultimo aspetto lo ha chiarito bene Francesco Urbani, quando ha parlato di Truffleland, la moderna azienda del Gruppo Urbani dedita alla Tartuficoltura, “unica salvezza – ha detto – per le lacune di un prodotto così incredibile e ineguagliabile. Il tartufo naturale sta scomparendo, e investire sull’agricoltura sostenibile, mettendo a dimora querce all’ombra delle quali potranno svilupparsi i tartufi, è un’operazione di conservazione dell’ambiente”. E anche estremamente remunerativa, aggiungiamo, visto che i prezzi di vendita sono decisamente appetibili e i compratori certo non mancano, la stessa famiglia Urbani in primis.
Raccontare il tartufo, però, non deve essere solo un’operazione d’elite. Anzi, per troppo tempo il tartufo non ha trovato quello spazio di visibilità verso il grande pubblico che, al contrario, hanno ad esempio trovato i vini.
Anche del prezioso fungo ne esistono diverse qualità e di diversi prezzi. Ed è chiaro che l’eccellenza, i ristoranti stellati, punteranno sempre ai prodotti top, e come tali li faranno pagare; ma c’è una gamma talmente variegata da poter interessare anche un mercato di massa; perché soltanto entrando nelle cucine di tutti gli italiani, e non solo nelle grandi cucine, si potrà fare cultura.
“Da qui dovrà nascere una grande Accademia sensoriale per il riconoscimento organolettico di tutte le tipologie di tartufo edibile – ha anticipato Cristini – e pensiamo anche a un grande Collegio Accademico dei migliori esperti e scienziati, per promuovere una ristorazione al tartufo tutto l’anno, partendo anche dalle giovani leve degli Istituti Alberghieri”. Insomma, l’obiettivo è diversificare l’offerta, preservando i mercati top quality nazionali e internazionale, ma “aprendosi” anche al mercato della ristorazione non necessariamente gourmet.
Sollecitazioni raccolte dal sottosegretario alle Politiche agricole alimentari e forestali, Gian Marco Centinaio: “Le eccellenze del nostro Made in Italy agroalimentare – ha detto – hanno la capacità di emozionare grazie all’unicità dei loro sapori, al patrimonio di biodiversità e al legame con le regioni. Il tartufo è uno dei migliori ambasciatori del tricolore nel mondo, e in particolare il tartufo bianco è il nostro fiore all’occhiello. Sono le pepite d’oro della nostra terra e grazie alla collaborazione con gli chef e il mondo della ristorazione vengono ancora più valorizzate. Grazie al tartufo, i territori – ha chiosato, dimostrando di aver ben compreso il messaggio lanciato -, anche quelli meno conosciuti, possono avere ulteriori opportunità di sviluppo, non solo economico ma anche turistico e sociale”. L’impegno formale è stato preso, ora si tratterà di passare dal pensiero all’azione, utilizzando le vie parlamentari.
I numeri
All’avvio di stagione, il quadro nazionale tra le regioni più rilevanti, ovvero Piemonte, Toscana, Marche e Umbria, presenta criticità sia sul fronte dell’offerta sia, di conseguenza, su quello dei prezzi con le quotazioni della Borsa di Acqualagna che al momento danno a 2 mila euro al kg la pezzatura 0-15 gr, a 3.200 quella da 15-50 grammi e a 4 mila oltre i 50 grammi. I prezzi attualmente oscillano tra 4.500 ai 2.000 euro al kg.
Le prospettive
Per l’Accademia del Tartufo nel Mondo, si tratta, dunque, di raccontare l’unicità a tavola e di interpretare il valore sensoriale e culturale, culinario ed emozionali che i tartufi sanno creare con i giusti abbinamenti, perché l’Italia del tartufo fa scuola e può guidare il nuovo rinascimento della cucina italiana, ma anche internazionale, protagonista in piatti inaspettati con frutta o nocciola gentile, come anche in menù vegetariani e vegani delle grandi city.
Ad attrarre, come sottolineato più volte, anche il connubio tartufo e vino, insieme alla tradizione del tagliolino mantecato e alla qualità riconosciuta del Grana Padano. Un’estasi di degustazione raggiungibili grazie all’abbinamento con vini importanti, tra i quali un Arneis del Piemonte, un Vermentino di Gallura, un Bombino Bianco della Puglia e un Bianchello del Maetauro superiore delle Marche. E ancora una Vernaccia di San Gimignano dalla Toscana e un meraviglioso Riesling Renano dell’Alto Adige.
Ospiti dell’evento, tra gli altri, Alessandro Circiello (A.i.c.), Antonio Donato (Direttore generale di Tenute del Cerro) e lo chef Umberto Bombana in collegamento da Hong Kong.
Insomma, tra qualche insoddisfazione per le distrazioni della politica, e la necessaria analisi del periodo critico post-siccità, si guarda con fiducia al futuro, alle nuove frontiere della tartuficoltura, ai mercati internazionali. Consapevoli del fatto che, come ha detto Cristini – “il tartufo non è solo un prodotto: è un cibo per sognatori”.
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