Massimo D'Innocenti
50 anni, romano e sempre fedele alla sua città, curioso per natura e appassionato di autori storici, Massimo D’Innocenti ama conoscere il passato per avere la consapevolezza delle proprie radici e costruire le basi su cui immaginare la sua cucina. “Umiltà” è la sua parola d’ordine come afferma lui stesso: “Chiunque entri a lavorare nella mia cucina deve saper ascoltare: prima di conoscere grandi tecniche, prima di aver studiato da grandi chef, deve avere la voglia di assorbire la sapienza che la mia brigata ha costruito negli anni, insieme a me. Il messaggio che in tutti questi anni ho cercato di far assimilare ai miei ragazzi è che l’umiltà è alla base di ogni piatto e che, insieme, possiamo costruire qualcosa di unico. Gli ingredienti che utilizzo sono semplici: magnifici prodotti, lavoro di squadra e tanto amore per questo lavoro”.
Il suo cammino prosegue al Portico d’Ottavia, dove si è appassionato alla cucina giudaico-romanesca, poi da Alberto Ciarla dove impara come trattare i crudi grazie a cuochi giapponesi, grazie ai quali impara a pulire e sfilettare il pesce con maestria, e si dedica alle salse su cui molto gli insegna la moglie francese di Ciarla. In qualità di chef, approda al Caffè Veneto di Roma, ristorante che trattava qualità eccelse di carni di cui diviene un vero esperto. Infine, l’arrivo a Casina Valadier con Antonio Sciullo: quando quest’ultimo decide di andare via, prende il posto di chef che ancor oggi mantiene, legato anima e cuore a questa meravigliosa struttura.
La sua filosofia di cucina oggi è immediata e di facile comprensione, con due/tre ingredienti di base che si equilibrano tra loro. L’origine familiare e la formazione nella cucina ebraico-romanesca si sente fortemente nei suoi piatti: aver imparato a lavorare le parti più povere delle carni, come schienali, animelle e pajata, influenzano e completano il suo modo di cucinare dando carattere ai suoi piatti e rendendo riconoscibili anche ricette più complesse o con ingredienti più nobili.
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