Per anni considerato un taglio povero, prevalentemente della cucina romana, oggi il quinto quarto è la rock star della carne bovina. Brutto, sporco, cattivo ma con un sound unico, con un’anima inconfondibile. Se Sid Vicious fosse un taglio di carne, sarebbe sicuramente il quinto quarto. Non a caso l’alta cucina ci ha messo molto tempo per accorgersi del suo valore “artistico”, esattamente come per i primi rocker.
Il suo nome singolare è presto spiegato: il quinto quarto è chiamato così a causa del modo in cui viene sezionato l’animale. Solitamente, dopo l’uccisione, viene svuotato dalle interiora e suddiviso in due mezzane attraverso a una sezione longitudinale. Ogni parte viene successivamente divisa in due quarti, anteriore e posteriore. Al momento della vendita queste due parti vengono nuovamente divise creando i diversi tagli di manzo e i diversi tagli di maiale. Le parti meno pregiate dell’animale sacrificato vengono così chiamate quinto quarto, perché trattasi di “una sezione in più”, non prevista inizialmente.
Secondo la tradizione romana il nome ha significati a più livelli però:
- il quinto quarto si chiamerebbe così perché le frattaglie ammontano a circa un quarto del peso della carcassa;
- perché l’importanza delle frattaglie nella cucina romana è almeno pari a quella delle parti esterne, anteriori e posteriori, quindi meritevoli di un taglio proprio;
- e perché in passato i lavoratori dei mattatoi venivano in parte pagati in natura con una quota delle frattaglie.
Fino ai tempi moderni infatti, la divisione del bestiame a Roma avveniva seguendo questo semplice schema: il primo “quarto” era pensato per essere venduto ai nobili, il secondo era per il clero, il terzo per la borghesia e infine l’ultimo quarto era per i soldati. Il macellaio poteva permettersi solo le viscere, il suo quinto quarto.
Cos’è il quinto quarto?
Con questo termine si indicano tutte le interiora, le frattaglie, le parti meno nobili e pregiate. Questo non deve però confondere: un taglio di carne povero non è sinonimo di un taglio di carne cattivo. Il sapore del quinto quarto è molto interessante ed è per questo che sempre più chef importanti sfruttano questo ventaglio di opzioni. Rientrano nella definizione di quinto quarto: trippa, rognoni, cuore, polmoni, fegato, milza, animelle, granelli, cervello, lingua, coda, nervetti. Ben 13 sezioni diverse, tutte con le proprie ricette, tutte con le proprie caratteristiche. Vediamo insieme nel dettaglio tutti i componenti del celebre quinto quarto.
1- La trippa
La trippa rappresenta lo stomaco dei bovini. Negli animali adulti è composto da quattro cavità distinte, ovvero tre pre-stomaci di origine esofagea e lo stomaco ghiandolare. Il suo uso in cucina è antichissimo: sicuramente i Greci la cucinavano alla brace e i Romani la usavano per le salsicce, ma il suo nome non deriva né dal greco né dal latino. L’etimologia della trippa è incerta, forse dal francese e dall’inglese tripe, parola a sua volta di origine celtica tripa, corretala con il gaelico tarp. Probabile dunque che l’uso della trippa sia riconducibile addirittura al tempo dei druidi.
Il suo utilizzo in gastronomia è molto vario. Per lo più la trippa viene venduta già lavata e parzialmente cotta, e richiede poi un ulteriore tempo di cottura sia per acquistare la giusta morbidezza sia per potersi impregnare degli aromi che le conferiscono un sapore appetitoso. Una delle ricette più celebri è naturalmente la trippa alla romana, ma del piatto esistono tantissime varianti regionali.
2. I rognoni
Il rognone è il termine culinario con cui vengono chiamati i reni degli animali da produzione alimentare. Quello di vitello ha un sapore relativamente delicato, per essere una frattaglia, quello di manzo ha un gusto forte. In cucina si sposa ai vini rossi corposi, quelli casalinghi e ha alcune regole ben precise sia nella cottura che nella conservazione. Il rognone, infatti, non va mai bollito, altrimenti diventa gommoso e poco saporito; inoltre è preferibile farne fette molto sottili. L’esterno di queste fette deve essere ben cotto e il centro deve essere rosa. Nel frigorifero non deve essere conservato più di 24 ore.
3. Il cuore
Il cuore di un bovino, dal punto di vista salutistico, è decisamente l’organo più sicuro. Per conformazione fisica è meno esposto a medicinali o accumuli di grasso ed è l’unica frattaglia dotata di caratteristiche chimico fisiche pressoché identiche a quelle del tessuto muscolare. Cucinare il cuore non è affatto semplice però: la prima cosa da fare è sezionarlo molto bene, eliminando tutto il contenuto connettivo in eccesso. Bisogna fare molta attenzione al taglio, rigorosamente trasversale per non rovinare i tessuti, e deve essere sottile, ma non troppo. I modi per cucinare il cuore più utilizzati sono due e curiosamente sono opposti: il primo è una rapida scottata in padella, il secondo è una cottura lenta, lunghissima, per lo stufato.
4. I polmoni
Il polmone è una delle frattaglie più usate al mondo: ci sono decine di ricette che trattano di questi organi, sparse in tutte le regioni d’Italia, ma anche nel resto del pianeta. Il piatto più caratteristico della Malesia è proprio il polmone fritto in pastella di farina e curcuma, da insaporire con aceto e peperoncino. Una delizia dello street food del sud-est asiatico. In Germania (e soprattutto in Baviera) i polmoni sono il principale ingrediente delle Saure Lüngerl Suppe, una zuppa con aceto, panna acida, prezzemolo e tocchetti di pane, uno dei simboli della Germania meridionale. Quella dei polmoni è una carne molto povera di calorie, ma come tutte le frattaglie, molto ricca di colesterolo.
5. Il fegato
Parlare del fegato fa venire immediatamente in mente tre grandi ricette della cucina europea: il fegato alla veneziana, il fegato alla milanese e il fegato alla berlinese. Tre ricette provenienti da tre grandi città del Vecchio continente, tre preparazioni che spiegano perfettamente quanto questa frattaglia sia usata e tenuta in considerazione nella gastronomia tradizionale e contemporanea. A differenza delle altre parti del quinto quarto, cucinare il fegato è sempre stato molto meno “disonorevole” in tempi passati, quindi ci sono ricette sparse per tutta Europa che hanno questo ingrediente come protagonista.
Può sembrare macabro, ma l’idea di mangiare il fegato, non solo animale, è sempre stata viva nella storia dell’uomo: la pratica di nutrirsi del fegato dei nemici sconfitti, spesso assieme al loro cuore, è stata diffusa in varie culture fin dalla notte dei tempi e fino al Medioevo inoltrato, quindi circa 500 anni fa, non così tanto. Ciò era spesso giustificato dalla convinzione che, cibandosi di queste parti anatomiche, il coraggio o altre qualità della persona uccisa potessero trasferirsi nel vincitore. A conferma di questa ipotesi antropologica c’è anche la sovrabbondanza di animali da cui gli umani ricavano il fegato come ingrediente: il fegato bovino in primis, seguono quello suino e quello di pollo, ma sono anche regolarmente consumati il fegato di agnello e quello di coniglio. L’olio di fegato di merluzzo è usato come integratore dietetico. Il foie gras è fegato d’oca ed è uno degli ingredienti più apprezzati nel mondo dell’alta cucina, benché sia ormai vietato in diversi Stati (per fortuna, aggiungiamo noi).
6. La milza
Scrivete “milza” e sarete catapultati immediatamente al centro di Ballarò, il celebre mercato palermitano, con un pani câ meusa in mano. Vero simbolo dello street food siciliano insieme a mammasantissima arancin* (così non si offende nessuno) e allo sfincione. Ad onor di cronaca, nel vero panino con la milza palermitano in realtà oltre all’organo citato, troviamo anche polmone e trachea.
Tornando alla milza: si tratta di un ingrediente facilmente digeribile e utilizzabile in numerose ricette, sia pure non particolarmente diffuse. Esattamente come per il fegato il modo più semplice di prepararla è quello di farla saltare in padella, eventualmente accompagnata da cipolle. Altre preparazioni iconiche con la milza sono i crostini neri toscani e il soffritto napoletano (in questo caso accompagnata da tante altre frattaglie).
7. Le animelle
Fino ad ora abbiamo parlato di frattaglie dal gusto deciso, forte, che non incontrano il palato di tutti se non abituati a questo tipo di sapori. Le animelle hanno invece un gusto delicatissimo rievocante il sapore del latte, sono avvolte da una membrana che viene tolta dopo che l’organo è stato sbollentato per alcuni minuti e che ne preserva l’essenza. Nonostante ciò si tratta di uno scarto di difficile reperibilità e ha un elevato contenuto nutrizionale, nonché un elevato tasso di colesterolo (comune a tutte le frattaglie). Molto importante scegliere un’animella fresca perché è facilmente deperibile e deve essere consumata il prima possibile dopo la macellazione per evitare una qualsiasi fermentazione spontanea.
Per scegliere bene basta stare attenti ad alcuni piccoli accorgimenti: l’odore deve essere delicato, il colore brillante e vivo, la consistenza tenera e polposa con una superficie umida, ma non sanguinolenta. È fondamentale che le vostre animelle abbiano queste caratteristiche così da non incorrere in spiacevoli sorprese. Inoltre prima di essere mangiate, le animelle devono essere pulite: acqua fredda e aceto per due ore. Fondamentale cambiare l’acqua ogni volta che diventa rosata, sinonimo che l’animella si sta effettivamente purificando.
8. I granelli
Che saranno mai ‘sti granelli, a volte chiamate anche granelle? Semplice: i testicoli del bovino. Spesso venduti già dissanguati, puliti e privati delle parti esterne perché alla maggior parte degli umani, che non sono del mestiere, questa operazione risulta molto ostica psicologicamente. Generalmente i granelli vengono consumati infarinati, passati nell’uovo e fritti con un’eventuale aggiunta di aglio o erbe aromatiche. In alcune cucine regionali sono accompagnati da funghi, erbe selvatiche o finocchi fritti.
Com’è facilmente intuibile, questo alimento è stato consumatissimo in epoca antica perché alle granelle erano state attribuite proprietà afrodisiache. In molte nazioni asiatiche ancora oggi ci sono ristoranti che servono testicoli degli animali più disparati come rimedio naturale dell’impotenza. Anthony Bourdain in “Viaggio di un cuoco” scrive che “C’è da pensare che siano davvero preoccupati per questo tipo di malattie, vedendo quanto sono disposti a fare per prevenirle” ironizzando sulla quantità di ricette e ristoranti tematici trovati lungo il suo cammino.
9. Il cervello
Il cervello è una delle frattaglie più usate, al pari di fegato e polmoni, nelle cucine di tutto il mondo. Ricette con il cervello come protagonista – che lo vedono quasi sempre fritto – fanno parte della cucina toscana, emiliano romagnola, ligure, piemontese e lombarda, ma anche della cucina francese, messicana e indonesiana. Una parte ricca di colesterolo, quindi da consumare con moderazione, ma anche di proteine e sali minerali, in primis fosforo. Per cucinarlo è necessario lavarlo bene sotto acqua corrente, e poi di sbollentarlo con un cucchiaio di aceto o il succo di mezzo limone per circa 5-10 minuti.
10. La lingua
Scegliere e cucinare una lingua non è semplicissimo. Innanzitutto è consigliabile toccarla: la lingua, deve essere sottoposta ad un adeguato periodo di frollatura e deve risultare elastica, morbida ma non cadevole. Una volta effettuato l’acquisto è molto importante strofinare la frattaglia col sale perché sulla superficie della lingue potrebbero esserci dei residui di cibo ingeriti dall’animale. Non è finita qui: prima della cottura la lingua va messa a bagno in acqua fredda per molte ore e l’acqua va cambiata più volte. Anche la cottura è difficile: serve una preparazione accurata e ha tempi lunghissimi, che spesso superano le 3 ore per la sola lessatura.
11. La coda
La coda è l’unica frattaglia che per essere commestibile va tostata: dopo la macellazione infatti le vertebre di cui è composta vengono separate e sottoposte a temperature molto alte. In seguito la carne viene cotta per lungo tempo fino a che il tessuto connettivo non diventa gelatinoso, la carne si intenerisce e diventa tutto più piacevole al gusto. Il risultato di questo processo di cottura è duplice: non solo la carne in sé, ma lo stesso fondo ricco di cartilagine “sciolta” forma uno straordinario fondo bruno ideale come legante culinario, dal sapore intenso e saporito.
Il piatto simbolo di questa frattaglia è senza ombra di dubbio la coda alla vaccinara, tipica pietanza della cucina romana, costituita dalla coda del bovino stufata e condita con verdure varie. La sua preparazione è lunga poiché dovrà cuocere almeno un paio d’ore ma il sapore è particolare e casereccio. Il nome deriva dall’usanza dei “vaccinari”, cioè coloro che erano destinati al mattatoio, che venivano pagati con la coda dell’animale.
12. I nervetti
Dobbiamo subito sfatare un mito: i nervetti non sono nervi. Il nome può trarre in inganno ma trattasi delle capsule articolari cartilaginee degli arti inferiori ricavate dal vitello o dal maiale. Tipici della tradizione gastronomica padana, fanno parte anche della famosa “trippa napoletana” protagonista dello street food con sale e limone. Altro piatto tipico e fresco con questa frattaglia è l’insalata di nervetti alla milanese: l’ingrediente, dopo un’opportuna bollitura in un leggero brodo di carote e sedano, viene tagliato a listarelle e unito assieme a cipollotti, sale, pepe, olio e aceto.
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